I criteri stabiliti dall’International Diabetes Federation nel 2005 per definire la Sindrome Metabolica, pongono il valore accettabile di glicemia a digiuno inferiore a 100 mg/dl, al di sopra del quale si innesca una situazione di iperglicemia che di riflesso determina un aumento dei valori di insulina (iperinsulinemia). Questa condizione metabolica, comune a molti adulti ma anche a bambini e ragazzi, spesso rappresenta una finestra temporale di prediabete o disglicemia, che si esprime attraverso alcuni valori clinici:
- Iperglicemia a digiuno (IFG) se la glicemia a digiuno è tra i 100 e i 125 mg/dl. Superiore a questi valori viene posta la diagnosi di diabete di tipo II.
- Intolleranza ai carboidrati (IGT) se la glicemia dopo 2 ore dal test OGTT della curva da carico con soluzione standard di glucosio è tra i 140 e 199 mg/dl;
- Valori di Hb1Ac (una forma di emoglobina detta glicosilata che ci da informazione dell’andamento delle nostre glicemie negli ultimi 3 mesi) tra i 42 e 48 mmol/mol (6-6,49%).
In tutte le situazioni di Sindrome Metabolica, con ad esempio presenza di ipertensione, aumentata circonferenza vita e trigliceridi, e in caso di bambini sovrappeso o obesi > 10 anni, è molto importante fare prevenzione di diabete andando ad investigare i valori glicemici sopra menzionati, perché la tempistica di intervento è di estrema utilità e il peggioramento si può prevenire attraverso le giuste strategie di stile di vita, comportamentali e di integrazioni mirate.
Ma perché avere troppo zucchero (glucosio) nel circolo sanguigno rappresenta un problema per la nostra salute? Le motivazioni sono diverse e le possiamo riassumere principalmente nelle seguenti conseguenze:
- quando gli zuccheri nel sangue sono in eccesso vengono convertiti in grassi che rimangono in circolo nel sangue come trigliceridi e colesterolo (siete proprio certi che l’aumento del colesterolo ematico sia causato soltanto dal consumo dalle uova e dai formaggi?) oppure si depositano nel tessuto adiposo soprattutto a livello addominale e viscerale. Inoltre l’eccesiva concentrazione di glucosio nel sangue non consente un corretto dimagrimento perché ogni qual volta i valori dell’insulina solo elevati, non si attiva la lipolisi e quindi la perdita di massa grassa. Pertanto l’iperglicemia facilita l’accumulo di grasso e rende difficoltosa la sua perdita.
- glicosilazione non enzimatica di proteine importanti per la struttura e le funzioni del nostro corpo, che possono diventare AGE (“Advanced Glycation End-products”) i quali ad elevate concentrazioni promuovono l’infiammazione, lo stress ossidativo, alterano la struttura e la funzione delle proteine, dei grassi e del DNA;
- l’iperinsulinemia, conseguente all’aumentata glicemia, stimola la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce verso la parte interna delle arterie, con diminuzione del lume vascolare e l’innalzamento della pressione arteriosa;
- Stress ossidativo;
- Micro e macroangiopatie a livello sia di piccoli che medi e grossi vasi, con aumento di incidenza di malattie cardiovascolari più precoce di circa 3 decadi rispetto ai diabetici;
- L’iperinsulinemia fa aumentare i livelli di IGF-1 che a sua volta influenza la differenziazione e la proliferazione cellulare, alla base dello sviluppo di cellule tumorali.
Ancora prima di ricorrere all’uso dei farmaci, ripristinare un buon profilo glicemico è possibile già dalle fasi iniziali cambiando principalmente lo stile di vita e le abitudini alimentari. E’ necessario fare la corretta prevenzione del diabete, sia negli adulti che nei ragazzi, perché è importante evitare le complicanze tipiche di questa patologia (neurologiche, retiniche, renali, diabete gestazionale) oltre che diminuire l’insorgenza di malattie cardiovascolari come infarto ed ictus. Vediamo come poter tenere a bada i valori di iperglicemie attraverso alcune strategie mirate.
L’ALIMENTAZIONE
Il concetto di indice glicemico (IG) degli alimenti non può essere trascurato, dal momento che ci sono alcune categorie di cibi che ne hanno un valore elevato, altri medio e altri basso. L’IG classifica gli alimenti glucidici (che contengono zucchero) in base alla loro capacità di influenzare la glicemia e di conseguenza la produzione di insulina rapportato ad un alimento di riferimento (zucchero o pane bianco) a cui è stato attribuito il valore 100. Più l’ingestione di un cibo determina una risposta rapida ed elevata della glicemia più avrà un elevato IG e viceversa. Esistono diverse tabelle in rete con l’elenco dettagliato dei cibi e i relativi indici glicemici, ma possiamo semplificare il concetto dicendo che alimenti contenenti carboidrati semplici come dolci, biscotti, zucchero, pane bianco, patate, frutta zuccherina (uva, banane, cachi, fichi, anguria), riso e pasta bianchi hanno un elevato IG, mentre alimenti contenenti carboidrati complessi come i cibi integrali (pane, pasta e cereali a chicco), legumi, frutta non zuccherina (mele, pere, frutti di bosco, ananas, pesche, albicocche) e fruttosio hanno un medio o basso IG. Insieme all’indice glicemico dobbiamo considerare anche la quantità di quel cibo assunto, detto carico glicemico (CG), il quale aiuta meglio a gestire la frequenza e la quantità dei cibi ad alto IG. Per ultimo ma non meno importante, l’assorbimento di un alimento glucidico è legato non soltanto alla natura dello zucchero, all’IG e al CG, ma anche all’assunzione contemporanea di altri alimenti nello stesso pasto che ne possono diminuire l’assorbimento come fibre, proteine e grassi. Per fare un esempio pratico riassuntivo a parità di contenuto di carboidrati (50 g) 100 g di fagioli secchi fanno aumentare meno la glicemia di 90 g di pane.
In un recente studio pubblicato lo scorso anno, gli autori hanno provato a identificare l’approccio dietetico migliore per ottenere un calo ponderale duraturo e la remissione del diabete, attraverso il confronto di 19 metanalisi: diete a bassissimo contenuto di calorie (400-500 kcal per 8-12 settimane) determinavano il calo ponderale maggiore (-6.6 kg), seguite da diete con pasti sostitutivi artificiali (-2.4 kg), rispetto alle diete di controllo. Si è documentata remissione del diabete a 12 mesi nel 54% dei soggetti sottoposti a sostituzione completa dei pasti con formule artificiali nella fase di induzione della dieta (600-850 kcal per 8-12 settimane), nel 15% dei soggetti sottoposti a dieta Mediterranea (con o senza restrizione calorica) e nell’11% dei soggetti sottoposti a sostituzione parziale dei pasti con formule artificiali (1-2 pasti, 1200-1800 kcal). Il tasso di remissione è stato elevato in soggetti sottoposti a diete chetogeniche a contenuto di carboidrati molto ridotto (22%) o diete a bassissimo contenuto di calorie (20%) ma documentato da studi di qualità giudicata molto bassa. Le evidenze disponibili, nonostante la variabilità e la scarsità di qualità, suggeriscono che ridurre la quantità di calorie consumate è molto importante ed è più facile da ottenere con l’utilizzo di formule artificiali sostitutive dei pasti; modifiche qualitative nella composizione della dieta sono tutte egualmente efficaci nell’ottenere un calo ponderale e la remissione del diabete.
Alla luce di quanto detto, per poter poter far regredire i livelli di glicemia a digiuno ma anche dopo i pasti, sarebbe opportuno evitare il consumo di zucchero, miele e sciroppi e di alimenti che lo contengono, così come evitare (o limitare ad occasioni rare), il consumo di prodotti raffinati come pasta e pane bianchi, pizza, cibi industrializzati e derivati da farine raffinate. Il piano alimentare quotidiano andrebbe invece basato su cereali integrali a chicco, legumi, frutta, verdura, frutta oleosa a guscio e con le giuste frequenze pesce, carne, uova e formaggi magri. Attraverso la scelta di cibi più sani, inevitabilmente si riuscirà a controllare meglio non soltanto i livelli di glicemia ma anche il proprio peso corporeo: in caso di eccesso ponderale, una perdita del 10-15% rientra tra gli obiettivi consigliati per migliorare di molto lo stato di salute, con un mantenimento del risultato per i successivi 3-5 anni.
L’ATTIVITA’ FISICA
Altra importante strategia di controllo dei valori di glicemia è un’adeguata e costante attività fisica. Il programma di prevenzione del diabete ha dimostrato che un esercizio fisico di modesta intensità della durata di 30 minuti per circa 5 giorni a settimana può produrre importanti e significativi effetti positivi nella riduzione dell’intolleranza al glucosio, sul miglioramento della sensibilità all’insulina, della pressione sanguigna, dei livelli di colesterolo e della capacità di captazione del glucosio da parte delle cellule muscolari. L’attività fisica andrebbe prescritta come se fosse un farmaco, ma dovrebbe essere personalizzata sulle basi della condizione fisica (età, sesso, peso), psichica e patologica del soggetto (problemi articolari, metabolici, pressori, respiratori…). Se per un’attività aerobica si richiedono 150 minuti/settimana, per un’attività di resistenza la frequenza dovrebbe essere di 2-3 volte a settimana se c’è necessità di aumentare la forza e la massa muscolare. In una review di qualche anno fa si è dimostrato come con un allenamento con esercizi strutturati (che consiste in esercizio aerobico, allenamento di resistenza o una combinazione di entrambi), sia associato alla riduzione dell’HbA(1c) in pazienti con diabete di tipo 2. L’allenamento associato a maggiori cali di HbA(1c) è quello che prevede esercizi strutturati di oltre 150 minuti a settimana, rispetto a quello di 150 minuti o meno a settimana. I consigli sull’attività fisica si associano ad una bassa HbA(1c) solo se combinati i consigli dietetici mirati.
SUPPLEMENTAZIONI UTILI
Un cambiamento della dieta e dello stile di vita possano portare benefici nella gestione delle iperglicemie e nella prevenzione del diabete di tipo 2; le evidenze scientifiche ci mostrano che l’insulino-resistenza e i livelli di glucosio ematico possono trovare giovamento anche grazie alla supplementazione di specifiche molecole, sali minerali o vitamine. Ve ne riporto un breve elenco tra quelle dotate di evidenze scientifiche, sicuramente non esaustivo visto l’ampio campo di azione, : la vitamina D, l’acido folico, lo zinco, gli inositoli, il cromo, i probiotici, le fibre solubili, omega 3, e diverse piante fitoterapiche tra cui spiccano il te verde, la cannella, la Gymnema sylvestre e la Curcuma longa.