Vi siete mai chiesti quali sono i fattori che influenzano le nostre scelte alimentari? Perché siamo spinti a consumare alcune categorie di cibi rispetto ad altri? Perché non riusciamo a non mangiare quei dolci o quei cibi salati, anche se sappiamo che nuocciono alla nostra salute e ci faranno sentire in colpa?
Non è facile trovare risposte certe, l’argomento è molto complesso ma con questo articolo, voglio provare a riflettere con voi su alcuni punti cruciali.
Le nostre scelte alimentari sono in primo luogo il risultato dello sviluppo del nostro gusto, che si determina nel corso della nostra vita a partire dalla vita intrauterina e negli anni successivi di crescita, sulla base del nostro patrimonio genetico e metabolico, del rapporto fame-sazietà regolato in modo fine da ormoni specifici prodotti dal nostro corpo, delle influenze culturali, religiose e dei modelli sociali e comportamentali che ci sono stati trasmessi, derivati in primis dalla nostra famiglia, ma anche da altri ambienti sociali con cui entriamo in contatto (scuola, amici, lavoro) e dai mass media.
L’essere umano in quanto animale, tende ad imitare comportamenti ed analizzarli sulla base delle esperienze fatte, accettando quelle positive e rifiutando quelle negative. Per la scelta del cibo il discorso è analogo: l’assimilazione di alcuni cibi, soprattutto quelli che hanno una specifica proporzione tra elementi zuccherini, grassi e salati, vengono percepiti nel nostro cervello (in particolare nell’ipotalamo, che è la sede di controllo dell’assunzione del cibo e del dispendio energetico, sotto l’influenza di neurotrasmettitori) come alimenti appetibili, che evocano piacere. Tale esperienza resta impressa nella nostra memoria e saremo indotti a ripeterla tutte le volte che ci sarà possibile, tanto da farla diventare una routine, come una garanzia di piacere, ma d’altro canto con elevato rischio che il tutto si trasformi in una dipendenza.
Ma le nostre scelte alimentari sono influenzate anche dalla nostra sfera emotiva e dalla nostra capacità di reagire ai numerosi stimoli esterni. La società in cui viviamo ci sottopone ad elevati livelli di stress, per situazioni più disparate che causano tensioni emotive e che possono andare a modificare il nostro rapporto con il cibo: in alcuni soggetti facendone ridurre l’assunzione (ho lo “stomaco chiuso”), ma di frequente accade l’opposto, con un aumento dell’introito alimentare, che va ad allentare le tensioni emotive quali l’ansia, la preoccupazione, la rabbia e il nervosismo. E in quest’ultimo caso le scelte alimentari cadono soventemente su categorie specifiche di cibi, come dolci e cioccolato, oppure cibi ipercalorici e salati (snack, patatine, panini…) tali da essere definiti comfort food, per il conforto emotivo che apportano dopo la loro ingestione.
I meccanismi che si instaurano nel nostro corpo quando siamo stressati (Il termine inglese stress significa propriamente “sforzo”, dal francese antico estrece, “strettezza, oppressione”, derivato del latino strictus, “stretto”- fonte Treccani) sono complessi ma possiamo riassumerli così:
aumento della produzione dell’ormone insulina per facilitare l’utilizzo degli zuccheri a livello periferico, ma questo può comportare in conseguenza, cali dei valori ematici di glicemia e quindi aumento della sensazione della fame.
aumentata produzione dell’ormone cortisolo, che bloccando l’azione dell’insulina, comporta un aumento della glicemia e un’aumentata azione catabolica dei muscoli, con tendenza ad aumentare la massa grassa, a diminuire quella magra e ad accumulare tessuto adiposo.
aumento degli ormoni che facilitano la ritenzione idrica sia per maggiore riassorbimento di acqua e sodio (aldosterone) che per diminuzione dell’escrezione di urina (ADH).
L’immagine sottostante (presa dal web) mostra nel dettaglio il tutto:
Capirete bene come uno scenario del genere comporti un elevato rischio di sovrappeso ed obesità nella persona che per condizioni emotive particolari, utilizzi il cibo come palliativo.
L’alimentazione emotiva comporta uno scarso controllo sull’assunzione del cibo e sul peso corporeo. In condizioni di stress elevato, se non si impara ad adottare comportamenti alternativi a quelli del mangiare, che per routine e facilità abbiamo sempre adottato, si correrà inevitabilmente il rischio di mangiare quantità di cibo superiore al nostro fabbisogno, con conseguente aumento di peso. E quale sarà lo step successivo? Non soddisfatti del nostro aspetto estetico e dei chili di troppo, decideremo di intraprendere un percorso di dimagrimento (si spera con professionisti autorizzati e con metodi leciti). All’inizio la motivazione è alta ed iniziamo a perdere peso, ma le tensioni emotivi sono sempre in agguato. Che cosa accadrà se improvvisamente quelle sensazioni di rabbia, di noia, di ansia o altro che proviamo spesso, tornano mentre siamo a dieta, quando non possiamo mangiare quei cibi che ci danno conforto? Che quella privazione ci sembrerà impossibile da attuare ed inevitabilmente, poiché non sappiamo con cosa altro affrontare quelle tensioni emotive, torneremo ad abbuffarci di quei comfort food, entrando inevitabilmente in un circolo vizioso di diete e fallimenti: più saremo emotivamente turbati, più mangeremo, più prenderemo peso in breve tempo e torneremo a dieta, per fallire nell’obiettivo del dimagrimento al ripresentarsi di quel turbamento emotivo, che ci porterà nuovamente a mangiare in modo incontrollato e a recuperare il peso perso fino a quel momento. Risultato finale? La nostra autostima crollerà, ci sentiremo incostanti, incapaci di ottenere ciò che desideriamo, falliti e senza via di uscita. Che senso ha privarsi ancora di quel cibo che ci appaga e ci calma? Oramai la dieta è saltata, tanto vale tornare alle vecchie abitudini alimentari. E nuovamente l’ago della bilancia torna a salire.
Tutto può procedere all’infinito se non facciamo un atto di consapevolezza e per la prima volta non accendiamo un riflettore sul nostro comportamento. Se non vediamo chiaramente il nesso tra quella torta, quel gelato, quel pacco di patatine e le nostre sensazioni nel momento precedente in cui li abbiamo mangiati senza fame, non riusciremo a rompere questo circolo vizioso. Impariamo a chiederci come stavamo e quali sensazioni provavamo prima di mangiare, proviamo a dare un nome a quelle sensazioni: noia, ansia, rabbia, nervosismo, impotenza… già questo passo, anche se può sembrare poco, ci darà la consapevolezza che il nostro problema di sovrappeso potrebbe avere una causa diversa dalla semplice associazione dei cibi.
Dopo anni che svolgo questa bellissima professione, dopo molte persone (spesso donne) ascoltate, scrivo questo articolo proprio per poter dare il mio punto di vista, nella speranza che possa essere un punto di partenza e di riflessione per molti di voi.
Tra le cause più frequenti che incontro e che innescano un’alimentazione incontrollata, spesso ho trovato un senso di frustrazione, soprattutto in donne adulte alcune con famiglia, mariti, figli, alcune lavoratrici ma anche casalinghe. Una frustrazione derivata dalla consapevolezza di non avere tempo per se stesse, visti i numerosi doveri da adempiere nel corso della giornata, oppure di non vedere riconosciuti i propri sacrifici. Ciò che ho notato parlando con loro, è che molto spesso questa mancanza di tempo non è reale, ma il risultato di una incapacità di delegare, di chiedere agli altri collaborazione nei doveri da svolgere, oppure incapacità di accettare che anche noi stessi abbiamo bisogno dei nostri spazi, dei nostri tempi come quello che dedichiamo agli altri; non siamo stati forse correttamente educati a coltivare gli aspetti della nostra vita che ci danno piacere oltre che occuparci soltanto dei doveri. Trovare del tempo per se stessi, in queste persone, viene vissuto con sensi di colpa forti, invece che di benessere. Il grande rischio è quello di ricercare quel piacere negato a noi stessi in un’alimentazione incontrollata. La sfera cognitivo-emotiva del piacere è la stessa, e da qualche parte il nostro cervello e la nostra anima dovranno pur prenderla. Ecco che allora spesso le abbuffate o gli “sgarri” avvengono la sera, quando tutti i doveri sono stati compiuti e il solo piacere che ci possiamo o sappiamo concedere, è quello del cibo.
Non ci sono molte vie di uscita se non accettiamo con umiltà, coraggio e responsabilità, che abbiamo dei modelli compartimentali da cambiare e se non siamo in grado di farlo da soli, è importante chiedere un aiuto specifico, come può esserlo quello di uno psicoterapeuta che possa lavorare da solo o in affiancamento al nutrizionista.
Intanto ammettere che la nostra alimentazione è di tipo emotivo, può consentirci di provare ad ipotizzare dei comportamenti alternativi all’atto del mangiare: se ci annoiamo, cerchiamo di intraprendere un’attività che ci impiega nei tempi vuoti, soprattutto quelli più critici che ci porterebbero a mangiare. Svolgiamo del volontariato, dedichiamoci a quell’attività che avremmo voluto fare da tempo ma che non abbiamo mai iniziato per pigrizia, magari quel corso di inglese online, o quella scuola di ballo di cui abbiamo sentito parlare con entusiasmo da un nostro conoscete.
Se mangiamo per soffocare ansia, rabbia o nervosismo, cerchiamo di scaricare queste emozioni con altre attività, come può essere la meditazione, un corso yoga, una passeggiata all’aria aperta, una semplice chiacchierata con un’amica o un hobby che ci consenta di rilassarci (giardinaggio, uncinetto, pittura, cucito…).
Ma per far questo, è necessario che accettiamo il fatto che anche noi siamo esseri viventi bisognosi di coltivare noi stessi e i nostri piaceri senza provare senso di colpa.