L’obesità è una problematica mondiale che necessita di una corretta gestione, dal momento che getta la base per lo sviluppo di diverse patologie metaboliche, cardiovascolari ed oncologiche, le quali rappresentano le maggiori cause di morte nei paesi occidentalizzati. La prevalenza globale dell’obesità evidenzia l’urgenza di comprendere i meccanismi che regolano la fame e la sazietà, i due impulsi fondamentali che ci spingono a mangiare. Mai come in questo nostro periodo storico-sociale la carenza di cibo non sembra essere più un grande problema, pertanto non dovremmo sentire la fame, invece le quantità di alimenti quotidiani che ingeriamo supera di gran lunga quella di cui abbiamo realmente bisogno per esplicare le nostre funzioni biologiche, come se avessimo fame in continuazione e non fossimo mai sazi. Ed ecco che quando l’assunzione di cibo supera quella necessaria al nostro fabbisogno energetico, si ottiene un accumulo di tessuto adiposo e quindi un ingrassamento. Il punto cruciale sta nel fatto che non mangiamo più soltanto per l’obiettivo di nutrirci e non morire. L’appetito, definito come la spinta motivazionale per ottenere cibo, è regolato da circuiti complessi di carattere diverso: sociale, comportamentale, antropologico, culturale, mediatico, ma anche metabolico, ormonale, biochimico, farmacologico, batterico, neurologico e psicologico. Tutti questi aspetti agiscono su una varietà di segnali (sia di tipo intestinale che mediati da molecole neuroendocrine), che valutano lo stato nutrizionale, di gratificazione e di appagamento e guidano la ricerca del cibo dietro lo stimolo della fame, che a volte diventa un vero e proprio problema se sfugge al controllo con conseguente sovralimentazione del soggetto. Non è facile attribuire alla fame incontrollabile ad un’unica causa, spesso cause diverse si sovrappongono e anche trovare un singolo rimedio che risolva definitivamente il problema non è altrettanto semplice. Con questo articolo voglio provare ad affrontare con voi questo argomento illustrandovi diverse cause (sicuramente non esaustive) che possono condurci ad aumentare la quantità di cibo ingerito nella quotidianità dietro lo stimolo della fame. Provare a comprenderne le cause è di fondamentale importanza per cercare di gestirne le diverse tipologie adottando le opportune soluzioni.
MECCANISMO DI REGOLAZIONE DELL’INGESTIONE DI CIBO: LA FAME METABOLICA
Da diversi anni è noto che l’ipotalamo (una struttura del nostro sistema nervoso centrale) ha un ruolo molto importante nel regolare l’assunzione dei cibi. In esperimenti condotti sugli animali, stimolazioni elettriche a carico dell’ipotalamo laterale causano un aumento dell’alimentazione, mentre quelle nella porzione ventromediale una diminuzione. Ma sulla regolazione dell’apporto alimentare e del dispendio energetico giocano un ruolo importante anche diverse molecole chiamate neurotrasmettitori, che sono prodotte da popolazioni di neuroni situate sia nell’ipotalamo che in altre sedi cerebrali. Tra queste la serotonina, la noradrenalina e la dopamina sono i neurotrasmettitori in grado di influenzare l’assunzione di cibo. In particolar modo la serotonina favorisce la sazietà, mentre la noradrenalina e la dopamina inibiscono l’assunzione di cibo. Altra importante funzione sulla regolazione di quanto mangiamo è data dalla leptina, un neuropeptide scoperto nel 1994 da J. Friedman e D. Coleman, prodotto prevalentemente dal tessuto adiposo bianco, il quale interagisce con i suoi recettori cellulari (le sedi cellulari a cui la leptina si lega) posti nell’ipotalamo, con funzione di riduzione dell’apporto di cibo, tramite la diminuzione dell’appetito, e aumento della termogenesi, per mezzo di complessi meccanismi biochimici che non sto qui a descrivervi. Quindi lo scopo primario della leptina è mantenere stabile la percentuale di tessuto grasso di un individuo. Nei soggetti obesi, i quali hanno un eccesso di tessuto adiposo, nonostante la leptina venga prodotta in quantità elevata, non si riesce ad agire a livello cellulare sopprimendo la sensazione della fame; si dice pertanto che il soggetto presenta una leptino-resistenza, con conseguente disregolazione del meccanismo di controllo ormonale fame-sazietà. Ma se si inizia a mangiare troppo nel tempo si può innescare anche un’altra forma di resistenza ormonale, quella dell’insulina, l’ormone deputato a mantenere stabili i livelli di glucosio nel sangue (la glicemia). Quando il nostro corpo vede in circolo il glucosio è spinto a produrre insulina da parte del pancreas, con lo scopo di far entrare il glucosio nelle cellule per il suo utilizzo e abbassarne i valori nel sangue. Ma se la presenza di glucosio ematico è molto elevata (in seguito all’assunzione di un eccessivo carico di carboidrati, soprattutto con alto indice glicemico), la produzione di insulina sarà superiore o eccessiva, tale da indurre nel soggetto una ipoglicemia reattiva e di conseguenza l’attivazione dello stimolo della fame per riportare i valori di glicemia nella norma. Se questo circolo vizioso di ipoglicemie-iperglicemie non si interrompe con uno stile alimentare mirato, nel tempo l’azione dell’insulina a livello cellulare può non funzionare più correttamente e si può innescare una resistenza all’insulina stessa. Non si conosce bene la motivazione, ma quando in genere si innesca una resistenza all’ormone insulina o all’ormone leptina, a livello cellulare i recettori dell’altro vanno in crisi e si instaura una doppia resistenza, con risultato che vedrà il soggetto non capace di sentire sazietà e di metabolizzare bene il glucosio a livello cellulare. Ci sono studi che dimostrano che è sufficiente mangiare in eccesso per qualche settimana per innescare la leptino-resistenza e l’insulino-resistenza, entrambe terreno fertile per lo sviluppo della sindrome metabolica, dell’obesità e delle patologie ad esse legate. Campanello di allarme di questa alterata condizione metabolica è la fame. Come si può porre rimedio a questo tipo di fame metabolica? Certamente molto fa la scelta dei cibi che assumiamo, il loro carico glicemico, la composizione del singolo pasto, la presenza o meno di proteine, fibre e grassi e non da ultimo la qualità dei cibi. Seguire un modello alimentare sano ed equilibrato o comunque in linea con le nostre caratteristiche ormonali e metaboliche, potrà darci un valido supporto a sentirci più sazi. Ma si può percepire fame anche per altre cause. Vediamole insieme.
LE CARENZE NUTRIZIONALI E LA FAME BIOCHIMICA
Per biochimica si intende “la branca della biologia e della chimica che studia le reazioni chimiche complesse che danno origine alla vita: oggetto di studio sono la struttura e le trasformazioni dei componenti delle cellule, come proteine, carboidrati, lipidi, acidi nucleici e altre biomolecole“. Per capire il concetto di “fame biochimica” possiamo considerare questa semplice osservazione: un organismo sentirà fame ogni qual volta non avrà a disposizione le sostanze di cui ha bisogno per esplicare le sue funzioni, sia cellulari che di tutti quei complessi meccanismi biochimici che ne sono alla base e dai quali dipende la vita dell’organismo stesso. Tra queste sostanze abbiamo le vitamine (che non siamo in grado di produrre da soli ma dobbiamo assumerle dall’esterno), i sali minerali, l’acqua ma anche le proteine, i grassi, i carboidrati, le fibre. La fame biochimica si può intendere come un campanello di allarme di una malnutrizione derivata da uno stile di vita alimentare che non ci permette di assumere le sostanze nutrienti di cui abbiamo bisogno, magari perché troppo raffinata, composta prevalentemente da cibi industriali, confezionati e scarsamente nutrienti. Sappiamo bene come troppe persone che vivono nei paesi occidentalizzati abbiano un’alimentazione di questo tipo e che l’obesità spesso rappresenti uno stato di malnutrizione sia per eccesso di cibo che per difetto di nutrienti. Non vi capita mai di iniziare una dieta e dopo qualche tempo sentire meno fame? Quindi che rimedio adottare per un’eventuale fame biochimica? Interroghiamoci su che modello alimentare adottiamo nella nostra quotidianità e quali categorie di cibi consumiamo in misura ridotta se non del tutto assente. Un pò come quando percepiamo la sete se siamo in deficit di idratazione. Magari la nostra fame insaziabile vuole comunicarci che necessitiamo di preziose molecole presenti in alcune tipologie dai cibi (e non sotto forma di integratori) e se è vero che non possiamo cambiare la nostra genetica, possiamo sicuramente modificare le nostre scelte alimentari. Potremmo verificare noi stessi se in seguito all’adozione di uno stile alimentare più consono ai nostri fabbisogni nutritivi, la nostra fame risulterà diminuita.

LE PILLOLE CHE AUMENTANO L’APPETITO: LA FAME FARMACOLOGICA
Molte categorie di farmaci possono aumentare il senso della fame in modo diretto o indiretto, causando un aumentata assunzione di cibo. Vediamo i principali farmaci di uso più comune con azione diretta. I farmaci antistaminici usati nel trattamento delle allergie, emicranie e disturbi psichici gravi, in caso di terapia a lungo termine, possono causare un aumento della dopamina e quindi del senso della fame, come tutti i farmaci con azione dopamino-agonista. Vi rientrano antistaminici contenenti flunarizina, ketotifene, ciproeptadina e i derivati delle fenotiazine. Stesso discorso vale per i farmaci neurolettici (clozapina e olanzapina) usati nei disturbi schizofrenici, oppure per farmaci antiepilettici come l‘acido valproico (usato anche come stabilizzatore dell’umore) e il pregabalin (usato anche nel disturbo dell’ansia). Farmaci antidepressivi che alterano la produzione di serotonina come SSRI e NASSA possono anch’essi essere responsabili di un aumentato senso della fame, agendo sui nostri ormoni che controllano il circuito fame-sazietà. Farmaci che per azione indiretta possono farci sentire più fame sono la categoria dei farmaci cortisonici e dei contraccettivi orali, appartenenti alla categoria degli ormoni steroidei, i quali tra i comuni effetti collaterali mostrano anche un aumento dell’appetito. Alcuni farmaci beta-bloccanti (propranololo, atenololo e metoprololo) possono interferire con la produzione dell’insulina e quindi agire indirettamente sul senso di non sazietà. Non da ultimi abbiamo la categoria farmacologica degli antibiotici ad ampio spettro, i cui effetti sulla fame si possono manifestare in seguito ad alterazione del microbioma intestinale secondo meccanismi complessi e non del tutto chiari. Sono stati evidenziati casi di persone che a seguito di una terapia per l’eradicazione dell’H. pylori, hanno riscontrato un aumento della grelina post-prandiale e dei livelli di leptina ematici (entrambi ormoni deputati al controllo della fame-sazietà), insieme ad un aumento del 5% dell’indice di massa corporea, anche dopo diversi mesi dall’interruzione della terapia antibiotica, a rafforzare ancora maggiormente l’importanza di non autosomministrarsi antibiotici senza una valutazione medica. Quindi se nell’ultimo periodo abbiamo notato un aumentato senso della fame, cerchiamo di capire se ciò può essere collegato ad alcuni farmaci che prendiamo da diverso tempo, soprattutto se in modo cronico in seguito alla diagnosi di specifiche patologie e ovviamente parliamone con il nostro medico, il quale valuterà il da farsi. Non prendiamo scelte in modo autonomo o in seguito alla lettura di informazioni su internet derivanti da fonti poco attendibili.
IL MICROBIOMA E LA FAME BATTERICA
Parlando di un possibile aumento della fame dopo somministrazione di antibiotici ad ampio spettro, si comprende come esista una stretta relazione tra l’equilibrio della nostra popolazione batterica, in termini di variabilità di popolazioni e di numero, e diversi aspetti fisiologici e patologici del nostro corpo. La scienza ancora non riesce a rispondere a molte domande ma la ricerca nel mondo del microbioma e del suo legame con lo stato di salute e di malattia stanno avanzando in modo esponenziale. Chissà fra qualche anno quanto avremo scoperto di nuovo. Finora diversi studi hanno dimostrato come l’insieme delle popolazioni che abitano il nostro intestino siano in grado di regolare il metabolismo di ciò che ingeriamo, l’assorbimento dei nutrienti e pertanto di stabilire anche uno stato di obesità, di malattia e di governare la sensazione da fame. Tempo fa ne avevo parlato in un mio articolo per la Scuola di Ancel: sulla base di osservazioni sperimentali, il microbiota potrebbe partecipare alla regolazione dell’appetito, agendo sul rilascio degli ormoni della sazietà come il peptide YY e il GLP-1, coinvolto nel rilascio di insulina. Interessante è l’ipotesi che i batteri intestinali, in quanto dipendenti dall’ospite che colonizzano per la propria sopravvivenza, abbiano un forte interesse a mantenersi in vita in modo stabile, inviando segnali specifici al loro ospite, inclusi quelli di sazietà ma anche di scelta di alcuni cibi rispetto ad altri. D’altronde sappiamo come una diversa composizione in nutrienti della dieta influenzi la presenza di alcuni ceppi di batteri a scapito di altri; per esempio le Prevotella crescono meglio con i carboidrati, le fibre danno vantaggio ai Bifidobacteria, mentre i grassi ai Bacteroidetes. I Firmicutes sono specie batteriche che sembrano essere presenti maggiormente nelle feci dei soggetti obesi oltre ad essere golosi di zuccheri raffinati. Tale ipotesi ci fa supporre una certa capacità manipolatoria del microbiota sul comportamento dell’ospite, e numerose sono le evidenze che sembrerebbero dimostrarlo. La supplementazione di 16 g di prebiotici per 2 settimane in adulti sani, ha determinato un aumentata produzione di peptide YY e il GLP-1 in seguito ad un processo di fermentazione misurato con il test dell’idrogeno sul respiro, traducendosi in una maggiore sazietà e in un’assunzione inferiore di cibo nei soggetti che avevo assunto i prebiotici. Inoltre attraverso esperimenti in topi obesi di trapianto fecale da topi magri, è stato dimostrato che si era in grado di modificare lo stato di obesità dei topi riceventi e viceversa. Il discorso è alquanto complesso: la composizione del nostro microbioma sarebbe in grado di influenzare la nostra fame e il nostro stato metabolico, ma è anche vero che il cibo è il primo strumento di manipolazione della nostra flora intestinale. Chiediamoci se notiamo un aumento della fame consumando determinati cibi o in variazione della nostra alimentazione classica (magari in seguito ad un cambio di lavoro, di abitazione, di pasti consumati a mensa, alla riduzione del consumo di fibre, all’aumento del consumo di cibi dolci…). Attraverso un’alimentazione ricca di fibre, verdura, frutta e altri cibi poco processati, l’utilizzo di sostanze prebiotiche e probiotiche mirate e ponendo l’attenzione sul benessere dell’intestino, si può provare a gestire una fame di tipo batterico. La collaborazione scientifica tra la microbiologia e la scienza della nutrizione sarà sicuramente una promettente strategia futura di comprensione e gestione dei complessi meccanismi che sono alla base della fame e dell’obesità.
SE LA FAME DIPENDE DALLE EMOZIONI: LA FAME NERVOSA
Si parla di fame nervosa quando la ricerca di cibo non dipende da squilibri ormonali, biochimici, metabolici o dall’assunzione di farmaci. E’ una tipologia di fame che si collega al nostro stato emotivo, in relazione al quale alcune categorie di cibi (frequentemente dolci, biscotti, cibi ipercalorici, pizze, snack vari…) assumono un ruolo conforto o di “comfort food”. Vi avevo parlato dell’alimentazione collegata alla nostra emotività già in questo articolo. Impariamo con molta probabilità da bambini che possiamo trarre conforto dal cibo quando per ricompensa o per placare le nostre ansie, capricci, pianti e paure ci danno cibi appetibili, merendine, dolci, caramelle e ciò che più ci piace. Queste categorie di cibi vanno a stimolare i nuclei cerebrali del piacere che producono serotonina e dopamina come abbiamo già visto; si innesca così un potente circolo vizioso tra emozioni poco gradevoli e tentativo di lenirle con il consumo di comfort food. Quando un comportamento si radica nel tempo, anche soltanto per abitudine, sarà poi più difficile abbandonarlo, anche perchè non possiamo evitare di provare emozioni. La fame emotiva può gettare così le basi per l’obesità grave e per il disturbo da alimentazione incontrollata o BED (Binge Eating Disturb), da non confondersi con la bulimia nervosa, caratterizzata da azioni di compensazione post abbuffata. Secondo il DSM-V per diagnosticare il BED devono essere soddisfatti 5 criteri:
1.Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi gli aspetti seguenti:
- Mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.
- Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).
2. Gli episodi di abbuffata sono associati a tre (o più) dei seguenti aspetti:
- Mangiare molto più rapidamente del normale.
- Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.
- Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.
- Mangiare da soli perché a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando.
- Sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio.
3. È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.
4. L’abbuffata si verifica, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
5. L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.
Nel caso in cui la nostra fame sia di tipo nervoso o sia un disturbo di BED, per potervi porre rimedio sarà necessaria una gestione da parte di figure professionali specializzate, come psicologi, psicoterapeuti o psichiatri, esperte nella gestione dei disturbi del comportamento alimentare. Potete leggere più informazioni a proposito della psiconutrizione nella parte ad essa dedicata del mio sito.

RIMEDI NATURALI ANTI FAME
Nel mondo dei fitoterapici esistono diverse sostanze naturali, o droghe, note per esplicare una funzione regolatoria sull’assunzione di cibo in eccesso, permettendo quindi un controllo sull’aumento di peso. Tra questi la Griffonia simplicifolia e il 5-HTP (5-idrossitriptofano) sono quelli con più dati di efficacia. La Griffonia appartiene alla famiglia delle Leguminose e i suoi semi sono ricchi di 5-HTP. Elevate concentrazioni di questa molecola facilitano la sintesi di serotonina. Il triptofano è il precursore di serotonina, melatonina e della vitamina PP. Il triptofano è un amminoacido essenziale ed è contenuto in alimenti quali legumi, latticini e uova. Mentre la serotonina è sintetizzata dalle cellule cromaffini intestinali o nei neuroni del sistema nervoso centrale e periferico. La conversione del triptofano in serotonina può avvenire soltanto in presenza di vitamina B e di uno specifico enzima (L-aminoacido-decarbossilasi aromatica) sia nello stomaco che nel sistema nervoso. Pertanto è preferibile l’assunzione diretta del 5-HTP, in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, rispetto al solo triptofano, sia nel trattamento della depressione che nel controllo dell’assunzione di cibo. La serotonina ha diverse funzioni tra cui l’inibizione delle secrezioni gastriche, è un precursore della melatonina, stimola la muscolatura liscia ed è un neurotrasmettitore centrale, impiegato nel trattamento della depressione e per ridurre l’assorbimento di cibo. In uno studio condotto su 64 paziente, dopo 4 mesi di assunzione di un complesso contenete griffonia insieme ad altri composti fitoterapici (garcinia cambogia, orthosiphon e citrus aurantium) si è avuta una maggiore riduzione del peso corporea rispetto al controllo che non l’assumeva e al pari di modello dietetico seguito. Attenzione comunque all’assunzione di griffonia e di 5-HTP se si assumono farmaci serotoninergici (SSRI) per il rischio di gravi effetti collaterali. L-tirosina è un amminoacido polare derivato dalla tirosina, precursore di diversi ormoni tra cui la tiroxina (ormone tiroideo) e le catecolammine (dopamina, noradrenalina e adrenalina), implicati della regolazione della sazietà e del mantenimento del peso corporeo. Rhodiola rosea è un modulatore dell’umore, un antidepressivo e coadiuvante del peso corpore. Tra i suoi meccanismi di azione recentemente è stata ipotizzata un’azione modulante il sistema ipotalamo-ipofisi-surrene con riduzione della produzione di cortisolo sotto stati di stress, insieme alla stimolazione del trasporto della molecola 5-HTP attraverso la barriera ematoencefalica. L’estratto di Caralluma fimbriata (un cactus edibile) viene impiegato per sopprimere il senso di fame come dimostrato da uno studio condotto su 50 soggetti che hanno assunto 1 g/giorno di estratto verso placebo per un periodo di 2 mesi. Infine masticare foglie di Gymnema silvestre o sciacquare la bocca con estratti acquosi o applicarlo sulla lingua, ridurrebbe la ricerca di cibi dolci oltre che controllare i livelli di glucosio nel sangue.
FONTI
- Fatness, perché mangiamo troppo – Fabio Piccini –
- Gut microbiota fermentation of prebiotics increases satietogenic and incretin gut peptide production with consequences for appetite sensation and glucose response after a meal. Am J Clin Nutr. 2009 Nov;90(5):1236-43
- An appetite for life: brain regulation of hunger and satiety. Curr Opin Pharmacol. 2017 Dec;37:100-106
- Trattato italiano di nutraceutica clinica. Agenti nutraceutici modulanti l’eccesso ponderale – A.F.G. Cicero, A. Colletti, F. Di Pierro –